Questo BLOG è il risultato di una vasta ricerca sulle maggiori religioni diffuse nel mondo. Qui potrete trovare una spiegazione obbiettiva delle credenze, delle divinità e del pensiero dei vari culti.

mercoledì 29 aprile 2009

RELIGIONI AFROAMERICANE

Le religioni afroamericane sono un gruppo di culti che si svilupparono in conseguenza della deportazione degli schiavi dall'Africa in America Meridionale e nelle isole caraibiche; questi culti hanno successivamente preso piede anche nelle zone meridionali degli USA.
Queste religioni sono generalmente basate sul concetto africano di divinità, a volte combinato con tradizioni cattoliche come il culto dei santi e dèi tradizionali americani.
Religioni afro-americane suddivise per stati
Brasile
Candomblé
Batuque
Umbanda
Quimbanda
Macumba
Cuba
Santeria
Ararà
Cuba e Porto Rico
Palo Mayombe
Haiti
Vodun o Voodoo
Giamaica
Rastafarianesimo
Trinidad e Tobago
Obeah
Orisha
Uruguay
Umbanda
USA
Vodun
Hoodoo

Candomblé
Il Candomblé è una religione afrobrasiliana praticata prevalentemente in Brasile ma anche in stati vicini come l'Uruguay, il Paraguay, l'Argentina e il Venezuela. Mescolanza di riti indigeni, credenze africane e cristianesimo, questa religione consiste nel culto degli Orixa, divinità di origine totemica e familiare, associati ciascuno ad un elemento naturale, e si basa sulla fede in un anima propria della natura.
Questa religione è giunta in Brasile dall'Africa, portata da sacerdoti africani e fedeli che erano stati deportati come schiavi. Viene chiamato anche Batuque, specialmente dopo il diciannovesimo secolo, quando il Candomblé si è diffuso maggiormente. Entrambe le parole derivano da lingue della famiglia Bantu. In particolare la parola Candomblé sembra significare “danze di negri”, ed è anche il nome di un antico strumento.
Diffusione
Benché originariamente la sua diffusione fosse limitata alla popolazione in schiavitù, fosse bandito dalla Chiesa cattolica, e perfino criminalizzato da alcuni governi, il Candomblé è sopravvissuto per secoli, e si è diffuso considerevolmente dopo la fine della schiavitù nel XIX secolo. Ora è una religione ampiamente diffusa, con seguaci appartenenti a tutte le classi sociali, e decine di migliaia di templi, o terreiros. Durante un recente censimento, circa due milioni di Brasiliani (1,5 % della popolazione) si sono detti seguaci del Candomblé. Nella cultura brasiliana le religioni non sono avvertite reciprocamente esclusive, e pertanto molte persone che praticano abitualmente altre confessioni partecipano a rituali del Candomblé, anche regolarmente; le divinità, i riti, e le festività del Candomblé sono ora parte integrante del folklore brasiliano.
Storia
La nascita e lo sviluppo istituzionalizzati di questa religione in Brasile sono abbastanza recenti. Il Candomblé si sviluppò in Brasile dalle conoscenze dei sacerdoti e delle sacerdotesse africani giunti nel Nuovo Mondo come schiavi nel periodo che va dal 1549 al 1888. In questo periodo i missionari cattolici convertirono in massa gli schiavi, i quali tuttavia mantennero sotterraneamente vive le loro tradizioni religiose. Fu in questo periodo che il culto degli Orixas venne associato a quello dei santi cattolici, per cui ancora oggi a ciascuna delle divinità del Candomblé corrisponde una figura del culto cristiano: ad esempio ad Oxala (sinistra), dio della creatività e figlio della divinità suprema Olorum corrisponde Gesù, e a Omolu o Obaluiae, dio guaritore delle epidemie, corrisponde San Lazzaro. Durante il periodo finale della tratta degli schiavi (ultima decade del XIX secolo), gli schiavi portati in Brasile dai portoghesi si trasferirono nelle città, dove aumentarono notevolmente le loro possibilità di aggregazione, confronto e scambio, anche fra diverse etnie (un contatto impossibile nelle fazendas, in cui gli schiavi di diversa provenienza erano spesso suddivisi in diverse senzala). Allo stesso tempo, gli ex-schiavi si ritrovarono liberi dall'imposizione del cattolicesimo. Sulla base di questi nuovi stimoli, si formarono nuovi gruppi di culti, spesso organizzati in irmandades ("confraternite").
A Salvador di Bahia, definita da Roger Bastide la “Roma Nera”, a causa del grandissimo numero di schiavi deportati nell'ultimo periodo della tratta, nacque il Candomblé, la religione afro-americana che più si è mantenuta fedele alla matrice d'origine, reinventata e riformulata in Brasile dagli schiavi.
Oggi il governo brasiliano riconosce e protegge il Candomblé e sovvenziona certi terreiros, specie a Salvador da Bahia.
Il Candomblé e altri culti creoli
Alla fine del XIX secolo furono introdotte nel paese alcune nuove teorie religiose e dottrine filosofiche. Così il Candomblé, o per lo meno alcuni templi, furono influenzati dalla dottrina del francese Kardec. Da Candomblé si trasformò in Umbanda. L'Umbanda si consolidò presto come una religione aperta a tutti, senza distinzioni di razza, origine sociale, etnica e geografica. Ha molte similitudini con la religione afro-brasiliana, ma l'esoterismo ha orientato questo culto verso un'adorazione degli spiriti defunti piuttosto che degli Orixa. L'Umbanda penetrò soprattutto nell'area sud-est del Brasile, nella regione industrializzata di São Paulo.
Il Candomblé può essere chiamato Macumba in certe regioni, specialmente a Rio de Janeiro e San Paolo, benché la Macumba sia maggiormente affine alla stregoneria europea, e in definitiva se ne distingua. Parimenti altre religioni di origine africana del Nuovo Continente, come il Vudù di Haiti, la Santeria cubana, l'Omoloko e l'Obeah, che si sono svluppate indipendentemente dal Candomblé, sono praticamente sconosiute in Brasile.
Articolazione
Gli schiavi brasiliani erano originari di svariati gruppi etnici, tra cui gli Yoruba, gli Ewe, i Fon e i Bantu (etnie). I mercanti di schiavi li classificavano per porto di imbarco, pertanto la loro vera origine etnica poteva non essere esattamente corrispondente a quella che veniva loro riconosciuta. Siccome il Candomblé nacque semi-indipendentemente in ciascuna di queste varie “nazioni”, si articolò in varie "sette", assumendo spesso nomi che derivano dal luogo di origine; per questo il termine Candomblé designa vari riti con differenti stili i cui seguaci chiamano “nazioni”. È possibile distinguere queste nazioni fra loro dal modo di suonare l'atabaque, il tamburo rituale che accompagna con la musica l'intera cerimonia (con le mani o con le bacchette), dalla musica, dalla lingua usata nei canti religiosi, dai nomi delle divinità, dai colori e dalla foggia dei costumi, dal modo di ballare e da alcune diversità nel rituale.
La divisionie in nazioni è stata influenzata anche dalle fratellanze religiose di schiavi brasiliani (irmandades) organizzate dalla Chiesa cattolica tra il XVIII secolo e il XIX secolo. Queste fratellanze, organizzate in gruppi etnici per favorire la predicazione nelle lingue madri degli schiavi, diede legittimità alle riunioni di schiavi, e in ultima analisi possono aver contribuito all'affermazione del Candomblé.
In quella che è chiamata “nazione” Ketu, a Bahia, predominano gli Orixa e i riti di origine yoruba. La “nazione” Angola, di origine bantu, adotta il pantheon degli Orixa yoruba e incorpora anche molte delle pratiche iniziatiche della "nazione" Ketu. Il suo linguaggio rituale, anche se intraducibile, si originò dalla lingua quicongo. In questa “nazione” è fondamentale il culto dei caboclos, gli spiriti degli indios considerati dai primi africani arrivati in America, gli spiriti ancestrali brasiliani, pertanto degni di essere venerati nel nuovo territorio.
Questa è una classificazione di massima delle maggiori nazioni e delle sotto-nazioni, e dei loro linguaggi sacri.
lingua Yoruba (Iorubá or Nagô in Portoghese)
Ketu o Queto (Bahia e la maggior parte degli stati brasiliani)
Efã (Bahia, Rio de Janeiro et San Paulo)
Ijexá (Bahia)
Nagô Egbá o Xangô do Nordeste (Pernambuco, Paraíba, Alagoas, Rio de Janeiro e São Paulo)
Oió-ijexá o Batuque-de-Nação (Rio Grande do Sul)
Mina-nagô o Tambor-de-Mina (Maranhão)
Xambá (Alagoas e Pernambuco) (quasi estinto).
Bantu o Angola - mescolanza di lingue Bantu (Kikongo eKimbundo)
Candomblé de Caboclo (diffuso tra le popolazioni indios; rende culto a divinità indigene accanto agli orixás)
Jejé (questo termine deriva dal yoruba "adjeje" che significa straniero) - lingue Ewe, Fon, e Gen
Mina Jejé (Maranhão)
Babaçuê (Pará)
Cosmo e Divinità
Nonostante ci sia un pantheon di divinità numeroso, il Candomblé non è propriamente una religione politeista; esiste un principio primo (chiamato Olorun dalla nazione Ketu, Zambi o Zambiapongo dalla nazione Bantu, Mawu dalla nazione Jeje), da cui provengono gli Orixa (divinità imm.sinistra) a cui ha delegato il suo potere. La maggior parte dei brasiliani lo identifica con il dio cristiano. Il Candomblé cerca un rapporto armonioso fra tutte le parti che compongono l'essere umano, il cosmo e la società mettendo in equilibrio tutti questi aspetti. L'universo sacro è reale ed i fedeli partecipano al mondo invisibile, questo mondo sacro esiste, si può sentire e entrarci in comunicazione. Generalmente chi pratica ha nei confronti del Candomblé una profonda fede nelle energie superiori della natura. Ogni persona è un frammento della divinità dalla quale ha ereditato le caratteristiche fisiche, psichiche ed energetiche.
La continuità e l'equilibrio con l'universo sacro e la natura si acquisiscono attraverso la riposizione di una forza magico-sacra che fluisce in tutte le cose, piante, animali, esseri umani, chiamata axé. L'axé può diminuire, aumentare ed essere distribuito attraverso dei riti che hanno la finalità di portare equilibrio e benessere alla comunità o all'individuo con il cosmo, la natura e le persone. Il fondamento del Candomblé è la vita vissuta bene ed ora.
Gli Orixa
Gli adepti al Candomblé credono negli Orixa. Questi sono delle divinità che possiedono una propria personalità e ciascuno di loro è associato ad un fenomeno naturale specifico e a certi colori. Nei loro miti vengono raccontati una grande quantità di insegnamenti mistici connessi all'elemento naturale caratteristico del particolare Orixa, Ciascuno degli elementi della natura ha delle sotto-categorie (es: acqua, c'è l'acqua dolce ed acqua salata).
L'Orixa, detto anche santo, per la passata sincretizzazione con i santi cattolici, si impossessa del credente e si serve di lui come strumento per comunicare con i mortali. Tra gli adepti al Candomblé è diffusissima la credenza secondo la quale ogni persona possiede una divinità protettrice chiamata orixà de cabeça o Orixa de frente, che fa assumere involontariamente al suo protetto, filhos o filhas, tutte le sue caratteristiche, positive e negative. Gli Orixa ascoltano le richieste, danno consigli, concedono la grazia, danno la cura alle malattie e consolano nel momento del bisogno. Il mondo celeste non è distante, né superiore e il credente può conversare direttamente con la divinità e chiederne i benefici.
In totale, il Candomblé rende omaggio ad un centinaio di divinità; tuttavia solo una dozzina di esse sono onorate nella maggior parte dei terreiros di grandi città come Salvador da Bahia o Rio de Janero, Ciascun Orixa ha una propria personalità, e un proprio sistema cultuale, che può cambiare non solo da nazione a nazione ma anche da terreiro a terreiro anche se esiste una linea di domini e particolarità riconosciute e note a tutti.
D'altro canto, Orixas con caratteristiche simili possono essere considerati come distinti; ad esempio Kabila della nazione Bantu, Oxósse della nazione Ketu e Otulu della nazione Jejé sono tutti cacciatori e hanno gli stessi colori simbolici, ma non vengono identificati.
Esistono poi oltre agli Orixa due importanti personaggi indipendenti al mondo degli Orixa ma con il quale interagiscono, sono l'oracolo Ifà e il messaggero Exù. Questi sono altre due elementi costanti riscontrabili nei culti afro-americani. Ifà lavora per portare agli uomini le parole degli Orixas ed è situato in posizione superiore ad Exù, il cui compito è quello di trasmettere ai santi i desideri degli uomini. Ifà oggi è ricordato solamente per le più modeste mansioni di oracolo.
Lista degli Orixas della nazione Ketu
Exù
Ogum
Oxóssi
Xangô
Obaluaiê
Oxumaré
Ossaim
Oxum
Iemanjá
Nanã
Oxalá
Iansã
Ibeji
Oyá
Logunedê
Obá
Irocô
Exù
Exù lo si trova con le stesse modalità di espressione e sempre come messaggero tra gli uomini e gli Orixà. È una specie di trickster e spesso è stato equiparato o sincretizzato con il diavolo cristiano. Tutti i momenti iniziali di qualsiasi cerimonia, individuale o collettiva, pubblica o privata, gli sono dedicati perché possa trasmettere alle divinità i desideri, buoni o cattivi dei suoi membri, e perché non interferisca in ciò che sta per essere celebrato. L'omaggio obbligatorio a Exù, chiamato despacho o ébò, può assumere forme differenti, ma in tutto il Brasile è depositato nei crocicchi, dominio incontestato del messaggero celeste.
Il culto
La gerarchia nel terreiro
Gli Orixas ricevono regolarmente omaggi sotto forma di offerte, danze sacre e canti. Il tempio dove si svolgono le cerimonie e la vita del sacerdote o della sacerdotessa, pai de santo o mãe de santo e dei suoi filhos de santo e filhas de santo, si chiama terreiro.
Le autorità spirituali sono il Pai de santo e la Mãe de santo, che al di sopra di loro riconoscono solo la forza degli Orixa. Il terreiro essendo una comunità a sé stante, ha come unica autorità spirituale e morale il sacerdote o la sacerdotessa. La IyalOrixa o il BabalOrixa, questa è l'espressione yoruba che si utilizza nel Candomblé nago, divide la forza spirituale con le persone che compongono il terreiro secondo una gerarchia molto netta. Ha la funzione di iniziare e seguire il cammino dei suoi adepti, istruendoli con nozioni relative al culto e dando consigli. Inoltre cura tutti gli aspetti relativi alla cerimonia; quindi presenzia ai sacrifici rituali, osserva e corregge l'esecuzione di qualsiasi rituale e attraverso il jogo de buzios dialoga con gli Orixa e aiuta risolvere i problemi di tutti gli adepti dispensando consigli suggeriti dalle divinità. Il pai o la mãe de santo sono obbligati a mostrarsi in pubblico ostentando i simboli della loro professione, saranno quindi ornati di anelli e collane rituali oltre a indossare il classico vestito cerimoniale.
Al fianco di questa figura prestigiosa c'è il Babaegbé o la Iyaegbe, il padre piccolo o la madre piccola, autorità che si trova immediatamente sotto quella principale, responsabile dell'ordine, della tradizione e della gerarchia. Altra figura di rilievo è la Yabassé, la responsabile degli alimenti sacri; la possono aiutare tutti i filhos e le filhas-de-santo ma nonostante il loro aiuto lei, è un incarico prettamente femminile, è l'unica responsabile degli eventuali errori.
L'Axogun è il responsabile dei sacrifici. Lavora insieme alla mãe o al pai de santo. Non può sbagliare. È il responsabile diretto dei sacrifici dall'inizio dell'atto fino alla fine. È chiamato anche mão de faca, ovvero mano di coltello.
Alla base di questa gerarchia ci sono le filhas e i filhos de santo. Nel Candomblé l'iniziazione serve per poter far parte dei quadri sacerdotali. La persona novizia rimane reclusa nel terreiro intorno ai 21 giorni. Nel periodo precedente si sarà preoccupata di raccogliere il denaro per le offerte da fare e per i vestiti e magari anche per la propria famiglia, al cui sostentamento di solito contribuisce e con cui non sarà in contatto nel tempo necessario al rito di iniziazione. È una religione dove la spesa materiale è molto grande e significativa. Le filhas de santo sono l'ultimo gradino di questa gerarchia solo in teoria, perché in pratica sono loro a far vivere il terreiro, sostenendolo economicamente e religiosamente.
La possessione
Il privilegio di servire gli Orixas come "cavallo" (ossia esserne posseduti) è riservata a pochi eletti, specialmente a quelli di sesso femminile. La possessione da parte della divinità, che rappresenta la caratteristica principale dei culti di origine africana, non si esercita su una persona qualsiasi, ma su alcuni soltanto. Il carattere personale della divinità è un'ulteriore caratteristica. Ogni persona è preparata per accogliere solo la sua divinità protettrice e nessun'altra.
La divinazione con il jogo de buzios
Jogo de Buzios si traduce in italiano con "lancio delle conchiglie". Questa è una pratica divinatoria che mette in contatto le persone con gli Orixa, grazie alle capacità medianiche e alla forza spirituale del sacerdote o della sacerdotessa.
Il pai o la mãe de santo, durante le sedute di divinazione, utilizzano come mezzo di comunicazione da dodici a ventuno conchiglie della specie Cypraea moneta, che il divinatore lascia cadere sopra un cestino contornato da numerose collane e oggetti vari, come monete e pietre. La consultazione viene effettuata davanti ad un bicchiere d'acqua e ad una candela accesa: il primo rappresenta l'elemento naturale, fonte di vita e catalizzatore delle energie negative che inconsapevolmente il consultante porta sempre con sé; la candela invece dà alla mãe o al pai de santo la giusta concentrazione per accedere ad uno stato superiore di coscienza. L'oracolo è una fonte di guadagno per il/la sacerdote/ssa ed attraverso questa consultazione indica all'iniziando o all'iniziato i sacrifici che deve fare e le modalità di raccolta del denaro per riuscire a gratificare la divinità.

Santeria
La santeria (santería secondo la grafia spagnola) nasce dal sincretismo di elementi della religione cattolica con altri della religione tradizionale yoruba, praticata dagli schiavi africani e dai loro discendenti a Cuba, in Brasile, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Panama e anche in luoghi con molti immigrati latinoamericani negli Stati Uniti (come Florida, New York e California).
Il termine "santeria" è stato coniato dagli spagnoli per denigrare quella che a loro pareva una eccessiva devozione ai santi da parte dei loro schiavi, che andavano in questo modo a non comprendere il ruolo principale di Dio nella religione cattolica. Questo atteggiamento nacque da una costrizione imposta loro dagli schiavisti: la proibizione tassativa, pena la morte, di praticare le proprie religioni animiste portate con loro dall'Africa occidentale, li costrinse a trovare una soluzione per aggirare questo divieto e cioè di celare, nel vero senso della parola, dietro l'iconografia cattolica i loro Dei così da essere liberi di adorarli senza incorrere alla crudeltà dell'oppressore. In tal modo i dominatori spagnoli pensarono che gli schiavi, da buoni cristiani, stessero pregando i santi quando in realtà stavano di fatto conservando le loro fedi tradizionali.
"Santeria" è, o è stato, un termine dispregiativo. I praticanti spesso preferiscono altri nomi come Lukumi o Regla de Ocha.
Quadro storico
La Santeria cubana, forma religiosa politeistica, ha ricevuto un nuovo impulso alla fine dell'Ottocento con il ritorno in Africa di alcuni schiavi liberati. Nel XX° secolo un nuovo impulso è dato dalla rivoluzione cubana del '59. Due le conseguenze di rilievo: l'esportazione del culto nell'America Settentrionale e in secondo luogo il nulla osta del regime castrista alla pratica di questa religione per motivi ideologici anche in funzione anti-cattolica e di valorizzazione della cultura popolare e delle classi più povere, che per forza di cose erano d'origine afroamericana. Infine il crollo del Muro e la conseguente apertura al turismo, soprattutto europeo, ha portato alla diffusione del culto anche nel Vecchio Continente, sia tramite l'emigrazione cubana, sia attraverso i visitatori europei rimasti affascinati dalle pratiche e dai culti della Santeria.
Influenze culturali e rituali
L'influenza della Santeria sulle espressioni culturali tipicamente cubane è marcata, soprattutto nell'ambito della danza e della musica. I generi musicali afrocubani (dalla Rumba dal Mambo alla Salsa, forse meno il Son) risentono fortemente delle figure ritmiche e sincopate utilizzate nei raduni rituali ad esempio a base di tamburi in onore del dio, o santo, Changò. Brano simbolo che racchiude tutta la magia della santeria è ¿Y QUE TU QUIERES QUE TE DEN? del maestro Adalberto Alvarez inframezzato da canti in lingua yoruba, stessa lingua con cui ancora si officiano i riti. La danza altrettanto si ispira ai riti d'origine Yoruba. Ogni santo ha un suo caratteristico movimento che lo distingue dagli altri. Il regime cubano considera queste espressioni artistiche un patrimonio culturale della nazione e le ha quindi elevate a livello accademico. Grazie a ciò sono diventati famosi nel mondo gruppi di canto e danza folklorici, quali il "Conjunto Folklorico Nacional", "Los Muñequitos de Matanzas" ed il compositore Lazaro Ros.
Gli adepti della Santeria a Cuba, pur ammettento le similituidini e le comuni origini con Candomblé e Macumba brasiliani e il Voodoo haitiano, sostengono di non praticare la magia nera, ma solo quella bianca. In pratica esclusivamente divinazione, e riti per favorire successi in amore, in ambito economico e di salvaguardia della salute o nella cura di malattie. Litanie e formule liturgiche sono presumibilmente in lingua Yoruba (della famiglia di lingue nigero-congolesi) che in realtà pochi capiscono (ma recitano a memoria) e le pratiche private sono improntate sul culto dei morti e degli antenati ai quali si riserva un angolo della casa e si offrono cibo e bevande, specifiche per ogni santo. Presente anche il concetto induista-buddista della reincarnazione, in particolare per chi non pratica i rituali. Ci sono poi i rituali colletivi accompagnati dai tamburi con fenomeni di possessione, trance ecc.
Divinità
Le principali divinità della Santeria cubana sono comunque simili se non identiche a quelle delle altre religioni afro-americane. Si tratta di una sorta di pantheon dove però, oltre alle varie divinità, si trovano dei concetti astratti a dimostrazione di un discreto livello di sviluppo religioso, filosofico e metafisico. Ad esempio la trilogia Olofi-Olordumare-Olorun che semplificando sono il creatore-la legge universale-la forza vitale (una sorta di Santissima Trinità). Sono fonte dell'Aché, il dono, la grazia, l'energia spirituale. Per alcuni non si tratta di una trilogia, ma di un Dio unico, quindi la santeria sarebbe una religione monoteista, e i rimanenti Orishas dei semidei (esseri umani che in vita hanno fatto grandi cose ed una volta morti sono stati eletti al rango di divinità) che impersonificano la natura con funzione di messaggeri della divinità primordiale. Questi ultimi (circa 400 nella religione originale Yoruba, una quarantina nella Santeria, di cui solo una quindicina quelli conosciuti dalla maggioranza dei fedeli) ricordano per contro parecchio la mitologia greca con le varie divinità antropomorfe in guerra, che si rubano le compagne, si vendicano, stuprano, si alleano e si proteggono vicendevolmente. I racconti mitologici di queste divinità, non di rado in contraddizione tra di loro, sono chiamati Pattakìn e sono di notevole interesse antropologico.
Alcuni dei principali Orishas (santi) della Santeria cubana semplificando sono:
Elegguà (sinistra): dio bambino, dispettoso, messaggero, che detiene le chiavi del destino. Nei rituali ha il privilegio di essere sempre il primo (abre el camino). È protettore di viaggiatori, strade ed incroci. Cattolicizzato con Sant'Antonio di Padova, i suoi colori sono il rosso e il nero.
Obatalà: Primo tra gli Orishas. Il creatore della terra. Divinità pura per eccellenza, ama la pace ed è misericordioso. È il dio della testa, del pensiero e dei sogni. Cattolicizzato come la Vergine "de la Mercedes", il suo colore è il bianco.
Yemayà: Madre della vita e degli altri dei. Moglie o, secondo le versioni, figlia di Obatalà. Dea dell'acqua salata e quindi del mare come fonte primordiale di vita. Protettrice delle partorienti, di pescatori e marinai. Corrisponde alla Vergine Maria (Nuestra Señora de la Regla, patrona della Baia di L'Avana). I suoi colori sono il bianco e l'azzurro.
Changò o Shangò: Dio della virilità, della mascolinità, del fuoco, di fulmini e tuoni, della guerra, della danza e della musica in particolare dei tamburi. Forse ispirato ad un mitico re Yoruba del regno Oyo. Innumerevoli le sue avventure amorose e i litigi con i rivali. Le sue presunte mogli o amanti sono almeno tre: Ochun (vedi sotto), Oyà (dea guerriera del vento, moglie di Oggùn che per questo é rivale e nemico di Changò), e Obba (dea del cimitero, eterna innamorata di Changò che per lui si tagliò un orecchio), ma è certo che è stato con tutte le donne del pantheon Yoruba. Figlio indesiderato di Yemayà, frutto di uno stupro, ma protetto da Obatalà. Il santo cattolico è come per Obatalà stranamente femminile ed è Santa Barbara. I suoi colori sono il bianco e il rosso.
Ochùn o Oshùn: Il corrispettivo femminile di Changò (di cui è amante). Dea dell'amore, della bellezza, della femminilità e dei fiumi. Un po' "coquette" protetta da Elegguà e Yemayà. Cattolicizzata come la Vergine "de la Caridad del Cobre" (patrona di Cuba). Colore il giallo, l'oro.
Orula: la divinazione personificata, principale benefattore del genere umano perché gli svela il futuro e lo consiglia. Pure figlio di Yemayà, ma da un rapporto incestuoso con il figlio Oggùn, un montanaro solitario e irascibile, dio del ferro - San Pietro), salvato dall'ira di Obatalà da Elegguà e protetto dal fratello maggiore Changò. Identificato in San Francesco d'Assisi e i colori sono giallo e verde.
Babalù Ayé: Dio guaritore di numerose malattie veneree, della pelle, della lebbra, del colera, delle infermità in genere ecc. Per questo è dunque associato a San Lazzaro. I colori sono bianco e blu. Questo in Africa era il santo principale e più venerato, all'Avana esiste un santuario in suo onore (Rincon), dove si recano ogni anno il 17 dicembre migliaia di infermi.
Queste alcune delle divinità maggiori della Santeria. Ce ne sono poi un'infinità di minori. Naturalmente non ci sono delle regole univoche su nomi, attributi e leggende (patakkìn di tradizione orale catalogate solo nel XX° secolo). I rituali variano a seconda delle scuole liturgiche (reglas). Spesso le divinità si confondono e il discorso sul fenomeno del sincretismo con la religione cattolica merita un capitolo a se. È un tentativo del Cattolicesimo di integrare la Santeria, o un'astuzia degli schiavi che venerando i santi cattolici evitavano angherie e persecuzioni? È questo un dibattito trattato da antropologi e storici come Sixto Gaetan Agüero e Kali Argyriadis.

Vudù
Il Vudù (dal termine africano vodu, che letteralmente significa "spirito", "divinità", o ancor più letteralmente "segno del profondo"), è una religione afroamericana dai caratteri sincretici e fortemente esoterici. La si ritiene generalmente come una delle religioni più antiche al mondo, sempre se si vuole considerare la forma moderna — nata tra il 1600 e il 1700 pressoché contemporaneamente in America latina e in Africa occidentale — come una continuazione diretta della forma originale. La religione vuduista attuale combina infatti elementi ancestrali estrapolati dall'animismo tradizionale africano che veniva praticato nel Benin prima del colonialismo, con concetti tratti dal Cattolicesimo. Oggi il Vudù è praticato da circa sessanta milioni di persone in tutto il mondo, ed ha recentemente acquisito il privilegio di essere riconosciuto come religione ufficiale in Benin — dove è fiorentemente organizzato in una Chiesa alla quale aderisce l'ottanta percento della popolazione — e ad Haiti dove è praticato dall'intera popolazione, contemporaneamente alla religione cattolica. Il Vudù ha attraversato tre secoli di persecuzioni e mistificazioni, in particolare da parte della Chiesa cattolica; è stato fortemente screditato e sono state diffuse — probabilmente anche consciamente — molte illazioni e disinformazioni che ne hanno portato una generale visione decisamente distorta. Al contrario di come comunemente si ritiene, il Vudù è una religione a tutti gli effetti, non un fenomeno legato alla magia nera, ed è dotato di un profondo corpus di dottrine morali e sociali, oltre che di una complessa teologia.
Storia
Il moderno Vudù è la derivazione di una delle religioni più antiche del mondo, presente in Africa sin dai primordi della civiltà umana; alcuni studiosi ritengono che la religione vuduista antica risalga addirittura a diecimila anni fa. Diffusa in varie aree del Continente Nero già da prima delle colonizzazioni europee, la profonda saggezza filosofica del Vudù si è poi diffusa nelle Americhe, in conseguenza alla deportazione degli schiavi neri nelle nuove colonie, dove venivano sfruttati per il lavoro forzato. Risale proprio a questo periodo — tra il XVII e il XVIII secolo — la codifica del Vudù così come lo si può conoscere al giorno d'oggi: nato dalla sintesi delle varie espressioni spirituali africane e di alcuni elementi cattolici. Il Vudù rappresentò per gli schiavi africani uno spiraglio di luce nella miseria della schiavitù; una fede comune che poteva farli sentire parte di una cultura valorizzata, nonché parte di una comunità. Tuttavia il Vudù dovette affrontare una dura lotta contro l'oppressione esercitata dal Cattolicesimo: sin dal principio qualsiasi culto non cristiano fu proibito agli schiavi, e chiunque ne praticasse veniva punito con la morte; la Chiesa cattolica combatté strenuamente contro l'espressione religiosa africana. Additato come un insieme di superstizioni e magia nera, il Vudù venne — a partire dal 1800 circa — presentato al mondo sotto una luce negativa, così come anche l'intera cultura, la lingua e qualsiasi altro tipo di eredità africana. Con le deportazioni nelle Americhe, il Vudù iniziò a diffondersi nelle isole caraibiche, e successivamente in tutta l'America centrale. Per sopravvivere, tuttavia, alle persistenti persecuzioni e proibizioni, la religione vuduista assunse nuove forme, e in particolare iniziò ad adottare l'iconografia cristiana, mascherando le divinità tradizionali con figure di santi e madonne. È in questo clima che ebbero origine anche altre religioni sincretiche afroamericane, quali la Santeria e il Candomblé. Le repressioni proseguirono attraverso i tre secoli che separano la nascita del Vudù moderno e l'epoca attuale, con un apogeo da parte dei cattolici riscontrato negli anni cinquanta, e una prosecuzione sino ai tempi correnti per quanto riguarda l'avversione dei protestanti.
Le repressioni — combinate alle mistificazioni — resero però il Vudù più forte, capace di attrarre un numero sempre maggiore di adepti, proprio grazie a quell'alone di proibito e misterioso che le disinfiormazioni avevano originato. In tempi moderni il Vudù sta godendo di una discreta diffusione negli Stati Uniti e nell'America meridionale: ad Haiti il riconoscimento ufficiale della religione vuduista — praticata da quasi tutta la popolazione, parallelamente al Cristianesimo — risale al 2003. In Africa occidentale è in corso un revivalismo: in Benin è riconosciuto in qualità di religione ufficiale dal 1996 ed è praticato dai quattro quinti della popolazione; viene inoltre amministrato da una Chiesa organizzata e viene insegnato nelle scuole. Numerose comunità sono infine presenti in Ghana e in Togo.
Teologia
La teologia vuduista si presenta come estremamente complessa e ricca, molto simile a quella delle altre grandi religioni mistiche del mondo. Il Vudù concepisce infatti la molteplicità dell'universo come una realtà illusoria, dato che il cosmo è in realtà un tutt'uno. Le tante cose che costituiscono il mondo non sono slegate e distinte tra loro, la differenziazione è infatti il velo di Maia che copre quella che è la realtà, ovvero il fatto che tutto ciò che esiste è parte e manifestazione di un'entità ancestrale, ineffabile ed eterna, ovvero Dio — che nella tradizione africana è indicato con nomi quali Mawu, Olorun o Gran Met (dal francese Grand Maître, ovvero "Grande Maestro"), e viene anche designato apesso con il nome Bondyè, mutuato dal francese Bon Dieu (letteralmente "Buon Dio"), in utilizzo da quando il Vudù dovette camuffarsi sotto mentite spoglie cristiane, per sopravvivere in una situazione ostile. La Divinità suprema è concepita dalla religione vuduista come un principio primordiale che crea l'universo attraverso un processo di manifestazione, di espressione dello spirito divino, un processo che dà ordine, vita e moto alla materia. Dio è il creatore, il motore, la fonte mistica di tutta l'esistenza, è l'essenza che nutre la materia dell'universo, noché la potenza che dà forma alla sostanza. Quest'ultima, infatti, senza la forma conferitale da Dio, non sarebbe altro che caos. La teologia vuduista concepisce Dio come un'ente inarrivabile, inconoscibile, il quale tuttavia si può rendere accessibile alla mentalità umana manifestandosi nell'universo infinito che è sua emanazione. Lo stesso termine dal quale la religione trae il nome, ovvero vodun o vodu, sta ad indicare infatti lo spirito misterioso che permea e fertilizza la materia cosmica, attivandola, donando a questa la vita. Nelle lingue africane, il termine significa letteralmente "segno del profondo" ed è generalmente utilizzato in alternativa a Obatala o Yevhè, dove quest'ultimo è un altro temine dal significato altrettanto misterioso, vale a dire "potenza astuta della buca". Queste espressioni sintetizzano quella che è la natura dello spirito divino manifesto nel mondo, preché il vodun è occulto, nascosto nella terra e nel cosmo che permea e di cui è l'essenza. Il vodun ha una duplice natura: da una parte è spirituale, dall'altra è materiale, ma si tratta di una distinzione pratica, dato che nel Vudù, materia e spirito, sono considerati come la medesima realtà, dato che la materia non è altro che una forma condensata dello spirito cosmico. Il vodun è la forza segreta che presenzia in tutte le cose, e che si manifesta all'uomo attraverso i profondi rituali, ricchi di simbolismi esoterici e di enfasi estatica. I riti permettono all'essere umano di oltrepassare il velo di Maia, di poter entrare in contatti diretto con la Divinità, contemplandola ed intravedendone il mistero. Il serpente è — nella religione vuduista — considerato una rappresentazione ideale e sacrale del vodun. Come il serpente costrittore si avviluppa attorno alle sue prede, così Dio avviluppa il suo spirito attorno al cosmo, ed adempie perennemente al processo mistico della creazione — o forse sarebbe meglio dire della manifestazione molteplice.
« Il Serpente sotto i cui auspici si riuniscono tutti coloro che condividono la fede. »

Le spire del serpente rappresentano la forza mistica attraverso la quale la Divinità esprime la propria luce, emanando l'universo che permea e nutre in eterno con il suo spirito, il vodun. L'anima che compone tutte le cose tesse tra queste un inscindibile legame: lo spirito di una pietra è identico all'anima di un albero, l'anima di un albero è identica allo spirito di un animale, lo spirito di un animale è parte della stessa anima universale che possiede anche l'essere umano. Ogni cosa, sia essa animata o inanimata, è parte di Dio, ed è parte dell'eterno ciclo della creazione. Gli scienziati moderni sanno di questo mistero, e la natura ne conosce ancor meglio i significati più reconditi. Il Vudù è — stando a tutto ciò che si è spiegato fino a questo momento — una religione panteistica, in quanto concepisce tutte le cose come tasselli di un'unica anima cosmica; parallelamente è però anche una religione monistica. La teologia vuduista include infatti il concetto di manifestazione pluralistica di Dio: esso è unico e unitario, è la fonte ancestrale di tutte le cose che esistono, ma non può essere compreso dalla mente umana se non attraverso la molteplicità delle sue manifestazioni. Il Vudù contempla infatti la presenza di una schiera di varie divinità, che designa con il termine specifico di loa — che letteralmente vuol dire "misteri", ma che viene tradotto spesso anche come "santi" o "angeli". Questi spiriti della natura sono le sfaccettature — i vari aspetti — attraverso i quali Dio si manifesta nel mondo. L'uomo — che come già detto è limitato nel comprendere il mistero dell'assoluto — può entrare in contatto con Dio solo passando attraverso il molteplice, dato che questo è l'unica cosa che può condurlo al divino, è il veicolo che permette la comprensione della realtà. La molteplicità è illusione, ma relativamente al punto di vista umano è la maschera attraverso cui la Divinità si rende manifesta. I rituali fortemente esoterici e mistici — tipici del Vudù — fanno sì che l'uomo possa comprendere il fatto che non esiste distinzione tra il mondo divino e il mondo umano, che ogni cosa è divina, dato che ogni cosa è parte attiva dell'unità. L'uomo può condurre una via che lo porti alla stretta relazione estatica con le manifestazioni di Dio, con le divinità e gli spiriti dei morti, ma nel momento in cui l'uomo comprende il segreto del molteplice e del vario, si rende anche pienamente consapevole del fatto che il molteplice è costituito dai tanti tasselli di un unico moisaico divino. Tra gli spiriti della natura venerati dai fedeli del Vudù si trovano divinità che fungono da patrone e personificazioni di elementi e forze della natura. Gli spiriti del cosmo venerati dai vuduisti, sono stati infine, nel Vudù centroamericano, etichettati con nominazioni in francese o spagnolo, ed associati a santi e madonne cattolici. I santi vengono considerati o come incarnazioni terrestri delle divinità, oppure come alternative raffigurazioni delle divinità stesse.
Tra queste entità spirituali — i loa, i "misteri" di Dio — si possono trovare Agwe, spirito dei mari; Aida, spirito dell'arcobaleno; Ayza, divinità protettrice; Baron, uno spirito considerato capace di manifestarsi in molteplici forme, protettore delle anime dei morti; Damballa, divinità serpentina, incarnazione del vodun; Erinle, spirito delle foreste e dei luoghi naturali; Erzulie, dea dell'amore, assimilata spesso alla dea Venere; Lisa, spirito della creazione; Ogou e Osun, divinità della guarigione; Ogun, spirito della pace e della guerra; Sango o Shango, spirito delle tempeste; Zaka o Oko, divinità della natura campestre; Brigitta, dea dei morti, spesso associata a Baron; Marinetta, una dea malvagia; Carlotta, una dea molto amata dalle popolazioni bianche, proprio per il suo aspetto occidentale; e infine Iemaia (chiamata anche Mami Wata, adattamento del nome inglese Mommy Water, ovvero Mamma Acqua; o La Sirena, dal nome La Siren), grande dea madre delle acque. Il culto di quest'ultima divinità è il più amato e il più diffuso sia in Africa occidentale sia in America. Le divinità sono considerate delle entità indescrivibili, senza aspetto o caratteristiche fisiche; sono semplici essenze della Divinità suprema. Per questo motivo — nonostante la diffusa iconografia, dovuta in particolare alle commistioni cattoliche — in via ufficiale, come tra le decorazioni dei templi vuduisti, per rappresentarle vengono utilizzati i veve, ovvero i disegni geometrici sacri. Questi sono ritenuti il miglior modo attraverso cui esprimere l'aspetto del divino, in quanto sono sintetizzazioni simboliche delle funzioni e delle caratteristiche che contraddistinguono gli spiriti della natura.
Ecclesiologia
Il Vudù si presenta generalmente con un'organizzazione costituita da un sistema di congregazioni. Ad Haiti e in Benin esistono due vere e proprie Chiese che amministrano molte di queste congreghe e gestiscono le cerimonie religiose, oltre che i seminari per la formazione del clero vuduista. In Benin la Chiesa del Vudù è un'istituzione molto importante nella società e nella vita dei cittadini; essa gestisce infatti parecchi servizi pubblici, quali ospedali, scuole e college, oltre a garantire un supporto caritatevole in grado di alleviare le condizioni di povertà in cui verte il Paese. Il clero vuduista è costituito da sacerdoti e sacerdotesse, che svolgono generalmente le medesime funzioni; i sacerdoti di sesso maschile vengono chiamati oungan (anche ungan o houngan), le donne vengono chiamate mambo. Ogni congregazione vuduista possiede poi i propri alti sacerdoti e alte sacerdotesse, chiamati rispettivamente papaloa e mamaloa; questi sacerdoti capi hanno il compito di gestire al meglio gli interi collegi clericali, avendo alle spalle molti anni di esperienza. La Chiesa vuduista del Benin è amministrata inoltre da un capo sacerdote generale, che sta al disopra anche dei papaloa e delle mamaloa; è il cosiddetto Papa vuduista. Il clero offre servizio in templi, gestiti dalle congregazioni e diffusi sul territorio; oggi esistono templi vuduisti in particolare in America centrale e in Africa occidentale, sebbene luoghi di culto si possano trovare anche in tutti gli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, in particolare in quelli in cui le attività del Vudù sono più radicate. I templi sono considerati dei luoghi in cui l'essere umano può entrare in contatto con la Divinità, ed è per questo che vi si svolgono i rituali. Gli edifici di culto sono decorati con vari elementi, tra cui un ingente quantità di candele, raffigurazioni di santi e oggetti considerati legati ai loa. Questi ultimi, in quanto non rappresentabili, sono celebrati di solito mediante l'utilizzo dei veve, le geometrie sacre. Durante i rituali sono molto frequenti i sacrifici animali, in particolare — tipico della tradizione vuduista — è il rituale che prevede lo sgozzamento del galletto. Possono essere utilizzate anche le famose bambole vudù, dei feticci che — a differenza di quanto è stato fatto credere per secoli mediante la disinformazione e, successivamente, con l'acquisizione del tema da parte dei film hollywoodiani — servono unicamente in funzione di oggetti in grado di mediare tra l'uomo e la Divinità e non vengono assolutamente utilizzate per scopi negativi o cerimonie legate alla magia nera. Altra caratteristica importante dei riti vuduisti è il forte misticismo, vale a dire il forte contatto che viene teso tra il mondo divino e il mondo umano, portando ad un'unione rituale tra uomini e dèi.
Le liturgie prevedono infatti anche la possessione divina, attraverso cui una divinità loa o lo spirito di una persona defunta si impossessa del corpo del celebrante — solitamente un membro del clero — interagendo con i partecipanti al rito. Nei momenti di estasi il posseduto viene detto uno zombi — altro elemento a cui si sono ispirate le più fantasiose dicerie — ovvero una persona viva sotto il controllo di un ente che in realtà non appartiene al suo corpo. Si crede infatti che durante i rituali di possessione, una delle due anime del posseduto lasci il corpo per permettere alla divinità di penetrarvi.
Escatologia ed etica
Nel Vudù, il concetto della salvezza e del raggiungimento della salvezza è molto complesso. La visione si può dire che a grandi linee corrisponda a quella cattolica: infatti entrambe le escatologie di queste religioni si basano sulla credenza in una vita dopo la morte. Nel Vudù tuttavia esiste una concezione molto diversa per quanto riguarda l'anima: mentre infatti nel Cattolicesimo l'anima viene considerata il "principio spirituale dell'uomo" (Catechismo della Chiesa Cattolica - CCC n. 363), o la "forma del corpo" (CCC n. 365), destinata a ricongiungersi ad esso dopo la morte con la risurrezione, (cfr. CCC n. 990), nel Vudù essa è concepita come distinta in due corpi numistici, vale a dire il grande angelo guardiano e il piccolo angelo guardiano. La prima parte dell'anima è considerata quella più materiale, e per questo strettamente legata al corpo, tanto da lasciarlo solo in seguito alla morte. La seconda è considerata invece la parte più sottile, in grando di lasciare spesso il corpo — anche durante il sonno —, e quella più soggetta ad influssi esterni, tanto che si ritiene se ne possano impossessare, imprigionandola, persone che praticano la magia nera, attraverso la quale riuscirebbero a controllare il piccolo angelo guardiano e, direttamente, la persona cui l'anima appartiene, rendendola uno zombi. I sacerdoti vuduisti possono, in questo caso, proteggere il malcapitato preparando un vaso della testa (in francese pot de tête), ovvero una sorta di amuleto nel quale racchiudono anticipatamente il piccolo angelo guardiano impedendo che venga catturato. Quando una persona muore, la sua anima ascende al paradiso. Durante la vita ogni essere umano possiede inoltre un proprio maestro della testa (met tet, derivato dal francese maître tête). Questa entità corrisponde all'angelo custode della tradizione cristiana, un nume dunque che porta consiglio e protezione alla persona cui è associato. Eticamente il Vudù esercita una morale che enfatizza la valorizzazione della vita umana e il rispetto della natura. Quest'ultima, essendo il Vudù una religione panteistica è considerata sacra e permeata dalle divinità. La religione vuduista sta rappresentando, in particolare nelle regioni meridionali del Togo, una forza particolarmente fervente che lotta per la salvaguardia delle aree naturali, in particolare le zone boscose. Queste ultime sono considerate sacre e al contempo vi si celebrano molto spesso i rituali vuduisti. Le associazioni che organizzano il Vudù in Benin e in Togo stanno manifestando sempre più interesse riguardo a queste tematiche, intessendo rapporti con le associazioni ambientaliste e difendendo la biodiversità. Per quanto riguarda la vita umana, un insegnamento che può essere utilizzato come esempio principale della forza etica che caratterizza il Vudù, è il valore che questo dà alle persone con handicap fisici o mentali. Queste persone sono amate e valorizzate nelle comunità vuduiste in quanto la religione del Vudù considera sacra e potente espressione manifestativa del divino, qualsiasi cosa che sia speciale o semplicemente diversa.
Note
Il nome è minormente utilizzato anche in differenti altre forme di traslitterazione e pronuncia, tra cui Vodu, Vudu, Vodon, Vudun, Vodun, Voudon, Voudun, Vodou, Vodoun, Voudou, Voudoun e diffusamente come Voodoo. Esistono infine altri tre termini, ovvero Sevi Loa (o Sevi Lwa, o ancora Sevi Lua), Vuduismo e Naniguismo. I fedeli alla religione vengono designati con aggettivi quali vudù, in forma minuscola ma anche in questo caso variabile come precedentemente elencato, vuduista o naniguista.





Rastafarianesimo
« Il mio compito è di tenere vivo e diffondere nel mondo il messaggio di Marcus Garvey, il padre spirituale di Giamaica ...
Voglio muovere il cuore di ogni uomo nero perché tutti gli uomini neri sparsi nel mondo si rendano conto che il tempo è arrivato, ora, adesso, oggi, per liberare l'Africa e gli africani.
Uomini neri di tutto il mondo, unitevi come in un corpo solo e ribellatevi: l'Africa è nostra, è la vostra terra, la nostra patria ...
Ribellatevi al mondo corrotto di Babilonia, emancipate la vostra razza, riconquistate la vostra terra. »
(Bob Marley)
Il Rastafarianesimo, o Rastafar-I (pronuncia: rastafarai, nel linguaggio delle I-words), è una fede religiosa di ispirazione cristiana.
Il nome deriva da Ras Tafari, l'Imperatore che salì al trono d'Etiopia nel 1930 con il nome di Haile Selassie I e con i titoli di Re dei Re, Eletto di Dio, Luce del Mondo, Leone Conquistatore della tribù di Giuda: in seguito alla sua incoronazione, alcuni cristiani riconobbero in lui il Cristo nella Sua Seconda Venuta in Maestà, Gloria e Potenza, come profeticamente annunciato dalle Sacre Scritture.
Il rastafarianesimo è comunemente concepito secondo categorie radicalmente lontane dalla sua essenza: nasce infatti come nazionalismo, o meglio, come versione religiosa del movimento politico nazionalista conosciuto come Etiopismo.
Il rastafarianesimo si è ispirato alla predicazione del leader Marcus Mosiah Garvey. Altri elementi di spicco, che hanno avuto un ruolo primario nella nascita di questo credo: Leonard Howell, H. Archibald Dunkley, e Joseph Nathaniel Hibbert.
A partire dagli anni Ottanta la cultura Rasta si è diffusa nel resto del mondo, soprattutto grazie a Bob Marley e alla musica reggae, che ne veicola i contenuti.
Origini Storiche
Sebbene questo sentimento religioso sia sorto anche presso gli Etiopi, esso si è sviluppato primariamente grazie a personalità straniere e presso popolazioni non-etiopiche, ed in seguito all’Incoronazione di Haile Selassie I (sinistra), verificatasi nel 1930.
Fondamentale per la sua affermazione fu il movimento etiopista, che già nell’800 agitava molte comunità africane e della Diaspora Nera. Era una corrente di ispirazione cristiana che rivendicava il recupero della dignità culturale e nazionale degli africani, annientati dalla deportazione e dalla schiavitù, mediante il riferimento spirituale e politico all’Etiopia. Nei primi del '900, gli etiopisti, guidati da Marcus Garvey, il cui ministero è spesso assimilato dai rastafariani a quello di Giovanni Battista precursore di Cristo, cominciarono a proiettare una viva attesa messianica di riscatto sull’Etiopia, e, nel 1930, dopo aver assistito alla sua incoronazione, alcuni discepoli di Garvey, capeggiati dal carismatico Leonard Howell, videro in Haile Selassie I il Messia atteso, che non era però, nella loro interpretazione, un generico liberatore politico, ma Gesù stesso. Questa persuasione diede il la a un nuovo e autonomo movimento, detto in seguito RasTafarianesimo, in virtù dell’abitudine dei primi fedeli di definirsi RasTa, per indicare la propria identificazione con Haile Selassie I, la cui rivelazione diventò il punto di riferimento essenziale. Dopo l’intensa predicazione dei primi seguaci in Africa e in America, ed una prima rapida espansione, nella metà del 1900, nelle Indie occidentali, negli Stati Uniti e in Inghilterra, il Rastafarianesimo si è di seguito radicato ovunque sul globo, soprattutto grazie al potere mediatico della sua vivace cultura musicale, legata in particolare al reggae, che ne veicola il messaggio teologico.
Dottrina e caratteristiche fondamentali
Fondata sull’esempio e la predicazione di Haile Selassie I, che fu storicamente e attivamente cristiano, la teologia rastafariana si presenta come un’evoluzione del Cristianesimo, così come questo lo fu dell’Ebraismo.
I Rastafariani accettano dunque gli insegnamenti teologici e morali di Gesù, custoditi dall’antichissima Tradizione Etiopica Ortodossa, e credono che Haile Selassie I li attualizzi e compia profeticamente in quanto Cristo tornato, secondo le esigenze dell’uomo moderno.
Perciò, essi credono nella Divinità di Cristo, nella Trinità, nella resurrezione dei corpi, nell’immortalità dell’anima, nella verginità di Maria ed in tutti gli altri dogmi della cristianità Ortodossa.
Credono però nel millenarismo, ovvero nell’idea che il Cristo debba instaurare un regno terreno prima della fine del mondo e del giudizio universale, secondo i dettami dell’apostolo Giovanni (Apocalisse 20): Haile Selassie I giunge dunque a realizzare questa profezia, e regna sui suoi eletti, i Rastafariani, sino al termine della storia.
Il loro Testo Sacro è costituito dal canone biblico etiopico, stabilito da Haile Selassie I, composto dell’Antico e del Nuovo Testamento, e dai testi ufficiali che contengono la testimonianza storica del Re.
In accordo con la tradizione Etiopica, raccolta nel Kebra Nagast, spesso erroneamente indicato come la loro Bibbia, i Rastafariani credono che l’Etiopia sia il Nuovo Israele, la Nazione eletta alla custodia della Cristianità nei tempi della frammentazione e della falsificazione, sino all’avvento secondo di Cristo, compiutosi in Haile Selassie I.
In questo libro è riportato l'incontro tra Re Salomone e la Regina di Saba, descritto anche dalla Bibbia (1 Re 10; 2 Cronache 9); ella, curiosa di conoscere la straordinaria saggezza del Re, si reca a Gerusalemme, e dalla relazione amorosa sorta tra i due nasce Menelik, capostipite della dinastia regale etiopica. L’Etiopia riceve la missione di preservare la purezza della Cristianità dopo il rifiuto di Israele e di custodire il carisma del trono Davidico sino all’avvento regale del Cristo, a cui è destinato sin dall’inizio del mondo. A riprova della sua elezione, l’Etiopia riceve l’Arca dell’Alleanza, oggi conservata in un santuario di Axum. Haile Selassie I fu l’ultimo regnante ad occupare il seggio di Davide, prima della dissoluzione della monarchia, e questo incoraggia i Rastafariani a riconoscere in Lui il compimento delle promesse divine.
Essi osservano la morale cristiana, ubbidendo ai dieci comandamenti del Sinai ed alle regole d’amore dettate da Cristo: “Ama il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente" e "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Luca 12, 28-31). Istruiti dalla tradizione etiopica e dalla decisiva predicazione di Haile Selassie I, i rastafariani nutrono un particolare rispetto per le altre culture religiose, e parlano di “parentela spirituale” dei mistici di tutte le culture storiche, utilizzando un’espressione del Re stesso. Pur difendendo il primato della propria identità, i rastafariani sostengono che si pervenga alla salvezza mediante la Fede nel Divino e l’osservanza della morale naturale, aldilà delle posizioni teologiche e metafisiche: da questo procede il loro vivo interesse per gli altri culti, considerati, sempre in riferimento ad una frase di Haile Selassie I, “vie del Dio vivente”, che non è possibile giudicare. Sono quindi dottrinalmente contrari al settarismo religioso.
Per giunta, essi professano i precetti politici che il Re ha trasmesso loro, completando, a loro avviso, la rivelazione storica. Credono dunque in una moralità internazionale retta dal principio della sicurezza collettiva, dell’autodeterminazione dei popoli, dell’uguaglianza dei diritti, della non-interferenza, e nel riconoscimento di un ordine sovra-nazionale che ripudi la guerra, per la ricomposizione pacifica delle dispute e per la risoluzione dei problemi comuni, istituzionalmente governato dall’ONU, di cui Haile Selassie I fu Padre Fondatore. Credono nella necessità di costruire sistemi politici liberali e democratici, fondati sull’osservanza della Dichiarazione dei Diritti Umani e difensori della libertà civile, economica, spirituale e culturale, rifiutando dunque ogni ideologia e statolatria totalitaristica, di destra e sinistra, che assorba l’anima umana, possesso esclusivo di Dio; credono inoltre nella necessità di uno Stato socialmente impegnato, che non si limiti a garantire negativamente la libertà, ma che guidi e educhi l’uomo, pur laicamente, al rispetto del prossimo e di Dio. Inoltre, i rastafariani sostengono che sia necessario affrontare con particolare attenzione, per il benessere dell’intero globo, il problema del continente africano, il più povero ed afflitto del pianeta in virtù di secoli di sfruttamento e aggressioni, eticamente meritevole di una riparazione storica. Forti dell’esempio di Haile Selassie I, considerato comunemente il Padre dell’Africa Unita e principale fondatore dell’Organizzazione dell’Unità Africana, chiedono che l’Africa realizzi l’unione continentale, liberandosi dalla dipendenza dai poteri stranieri, recuperando la propria identità, e sviluppandosi secondo modelli politici e culturali propri, che tali poteri hanno cercato e cercano di strapparle. Gli africani deportati, in particolare, per raggiungere la pienezza di sé e fronteggiare il proprio disagio storico, devono ricordare le proprie origini e onorarle, e lavorare attivamente per questa causa: è in tale ottica che l’idea di rimpatrio, a cui Haile Selassie I dedicò parte delle sue energie e per cui mise a disposizione un ampio territorio etiopico, acquisisce un significato vitale.
I Rastafariani credono che Haile Selassie I sia Cristo per varie ragioni.
Credono Egli esprima una santità assoluta, e che abbia compiuto opere miracolose, principalmente di natura politica, in Etiopia e nel Mondo;
credono che Egli, come Gesù, compia le profezie della Scrittura Sacra, sia in termini espliciti che allegorici, ponendo particolare attenzione sull’Apocalisse di Giovanni, finalizzata alla descrizione della Venuta Seconda di Cristo;
credono nella veridicità dei Suoi titoli e nella Sua testimonianza, che tendono a proiettarlo nella trascendenza e nel mistico: molti tuttavia negano che il Re abbia mai avanzato tali pretese, sostenendo invece che le abbia rifiutate espressamente.
pensano che tali posizioni ignorino il contenuto della Rivelazione, e che l’atteggiamento “restio” di Haile Selassie I compia perfettamente le linee della Cristologia cristiana.
I rastafariani rifiutano l’idea del decesso fisico o spirituale di Haile Selassie I, credendo nel Suo occultamento volontario agli occhi degli uomini. Secondo la teologia cristiana, infatti, Gesù Cristo muore una sola volta e risorge definitivamente, espiando il peccato umano (Lettera agli Ebrei 9, 26-28); la Sua seconda venuta rappresenta il tempo del Regno glorioso, non della passione e del sacrificio. I misteri che ancora oggi avvolgono la scomparsa di Haile Selassie I (la mancanza di foto, video, la negazione dei funerali, la scelta di non mostrare il suo corpo, la provata falsità delle cause fisiche addotte per giustificare il decesso) sono per loro la dimostrazione della veridicità della propria fede. Credono dunque che Haile Selassie I sia ancora corporalmente vivo e presente sul trono d’Etiopia, e che essi costituiscano il Suo Regno.
L’idea che il Rastafarianesimo sia riservato agli africani e che escluda la partecipazione dei “bianchi” è assolutamente falsa e priva di fondamenti teologici. Haile Selassie I, secondo lo spirito del Vangelo, ha insegnato l’assoluta uguaglianza delle razze ed ha predicato il proprio messaggio a tutte la nazioni. Sono presenti tra gli occidentali forti comunità rastafariane e personalità importanti per la storia del movimento, che vivono in piena comunione religiosa con i propri confratelli di stirpe africana. Forme di possibile diffidenza e razzismo devono essere associate a compresibili tensioni storiche, e non alla cultura spirituale.
I rastafariani, in accordo con i precetti di Haile Selassie I, predicano il rispetto del proprio corpo attraverso una corretta e sana alimentazione, l’esercizio fisico e l’astensione dalle droghe, ovvero ciò che loro chiamano “pratica dell’Ital“, un modo “vitale” di intendere il proprio rapporto con la Creazione.
La capigliatura rasta e il mito di Sansone
I rastafariani sono comunemente conosciuti per i cosiddetti dreadlocks, delle lunghe e dure trecce che caratterizzano la chioma di alcuni fedeli. Si tratta di una pratica facoltativa, e molti rastafariani non sono Nazirei.
Queste costituiscono la realizzazione materiale di un voto biblico, il Nazireato, descritto nella Legge Mosaica (Numeri 6) e custodito nella Cristianità dalla sola tradizione etiopica. Questa pratica ascetica comporta la consacrazione del proprio capo e dunque l’astensione dalla tonsura e dalla pettinatura, generando naturalmente le celebri trecce (Giudici 16:13-19); implica inoltre l'astensione da alcolici, uva e derivati, e una dieta vegetariana.
Il Kebra Nagast racconta di come un Angelo apparve alla madre di Sansone, ammonendola di non tagliarli i capelli. La figura di Sansone pelato, cieco, incatenato, è un esempio di ciò che può accadere a chi usa il metallo di Babilonia, a chi si fida di donne cattive e disubbidisce i comandi divini.
Bisogna conservare la propria integrità fisica e morale, e i capelli sono un simbolo, da custodire gelosamente.
« Conservate la vostra cultura
non abbiate paura dell'avvoltoio
fatevi crescere i riccioli »
(Bob Marley)
La lingua RasTa
Nel creolo giamaicano, la prima persona singolare è espressa col pronome me. I RasTa concepiscono questo pronome come un'espressione di servilismo, di conseguenza il pronome I, "io", acquista un'importanza morale e viene utilizzato in modo curioso.
Nel plurale la parola we "noi", viene sostituita con I and I, e nel riflessivo I self e I'n'I self.
Il pronome, essendo scritto come il numerale romano I, diventa anche richiamo di Selassie I.
Alcune parole, dette I-words, usano il pronome I in sostituzione di fonemi assonanti: abbiamo quindi I-vine per "divine", divino, I-ssembly per "assembly", assemblea.
In tal modo, anche Rastafar-I.
Nel caso in cui segua una vocale, la I viene sostituita con una Y: Yife per "life", vita.
Correnti di pensiero
All’interno del Rastafarianesimo si osservano diverse correnti interpretative, tra le quali ricordiamo le 12 Tribù di Israele, i Nyabinghi, i Bobo Shanti e gli Ortodossi. Tuttavia, la relativa facilità della teorizzazione teologica, in presenza di una rivelazione chiara e diretta, sta permettendo un graduale appianamento delle differenze, sostanzialmente causate dalla scarsa conoscenza dei testi e delle risorse culturali, e le istanze dottrinali fondamentali sono ormai generalmente accettate.
I RasTa e l'uso dell'erba Ganja
I Rasta utilizzano la marijuana come erba medicinale, ma anche come erba meditativa, apportatrice di saggezza, ausilio alla preghiera. Viene sostenuto che l'erba Ganja sia cresciuta sulla tomba del re Salomone, chiamato il Re Saggio, e da esso ne tragga forza. La marijuana è anche associata all'Albero della Vita e della Saggezza che era presente nell'Eden a fianco dell'Albero della conoscenza del bene e del male.
« Non puoi cambiare la natura umana, ma puoi cambiare te stesso mediante l'uso dell'Erba ...
In tal modo tu permetti che la tua luce risplenda, e quando ognuno di noi lascia risplendere la sua luce, ciò significa che stiamo creando un cultura divina »
I rastafariani, comunque, predicano la disciplina morale ed il controllo di sé, e sono avversi ad ogni forma di ubriachezza.
Le donne RasTa
I rasta conferiscono alla donna, in accordo con gli insegnamenti di Haile Selassie I, la medesima dignità dell'uomo. L'imperatrice Menen (sinistra), legittima sposa dell'Imperatore ed associata alla sua gloria regale, riceve presso i rastafariani particolare venerazione, considerata la prima creatura dopo Cristo, la Madre della Creazione e la Regina dei Re.
Tuttavia, il ruolo della donna, in accordo con gli insegnamenti della Scrittura (Efesini 5:22) è gerarchicamente subordinato a quello dell'uomo. In contrapposizione alla società di stampo matriarcale su cui si regge la famiglia giamaicana, la comunità Rasta afferma la superiorità del maschio.
La donna è considerata inferiore, perché è il simbolo fondamentale del male, la rovina dell'uomo. La donna muta, e si purifica attraverso non la relazione amorosa, ma il rapporto sessuale col maschio.

Obeah
L'Obeah (a volte indicato come Obi) è un termine utilizzato per indicare le pratiche magiche e religiose originarie dell' Africa centrale e Occidentale, per questo motivo essa condivide diversi elementi, oltre che le sue origini, con altre pratiche magico-religiose quali Palo, Voodoo e Santeria. Questa particolare fede è praticata nel Suriname, Giamaica, Isole Vergini, Trinidad e Tobago, Guyana, Belize, nelle isole Barbados e nelle Bahamas, oltre che in altre isole caraibiche.
Questa pratica magico-religiosa è associata sia alla magia bianca che nera ed in molte zone caraibiche essa si è mescolata con elementi di altre religioni quali quella cristiana e dell' induismo puja, anche se in maniera impropria diversi testi associano questa pratica con la religione di Thelema.
Obeah in Giamaica
In Giamaica durante l'epoca della tratta degli schiavi diversi individui appartenenti a tribù e gruppi etnici diversi entrarono in contatto tra loro provocando anche situazioni conflittuali. I discendenti degli Ashanti dell'Africa occidentale che chiamavano i loro sacerdoti uomini myal utiolizzavano la parola ashanti Obeah - che significa stregoneria - per indicare le pratiche magico-religiose dei discendenti dell'Africa centrale, fu così che da quel momento i fedeli provenienti dalle regioni del Congo vennero indicati con il nome di uomini Obeah ovvero stregoni.
Il termine Obeah finì in seguito per indicare qualsiasi oggetto rituale che veniva utilizzato nella magia nera e nella stregoneria. Tuttavia, a dispetto di questa sua temibile e negativa reputazione, anche l'Obeah contiene molti riti benefici e di benedizione, di cura del corpo e dell'anima e per una buona fortuna in amore e denaro.
Nel XIX secolo l'apparirizione in cielo di una cometa scatenò una esplosione di crisi mistiche e di spiritualismo che sfociò spesso in marcate forme di millenarimo e di fanatismo religioso tra gli uomini Myal della Giamaica. In quello stesso periodo le correnti spiritistiche si stavano diffondendo in tutte le nazioni di lingua anglosassone e si collegarono con le credenze religiose dei popoli caraibici come loro propaggini naturali, soprattutto riguardo alla loro componenete di culto e contatto con gli spiriti dei morti.
Durante il conflitto tra religione Obeah e Myal questi ultimi si posero come i buoni in contrapposizione agli stregoni malvagi della religione Obeah. Essi dichiararono che gli uomini Obeah rubavano l'ombra dei viventi e aiutavano coloro che volevano tornare dal regno della morte. Fu così che nacque un autentico movimento di accusa contro i sacerdoti Obeah istigata dai loro rivali Myal che organizzavano riti magici nei quali evocavano i morti perché testimoniassero delle pratiche malefiche degli stregoni Obeah.
Con il trascorrere del tempo le continue violenze dei praticanti Myal e il fallimento delle loro previsioni millenaristiche scatenarono la reazione del governo britannico che emanò leggi restrittive sia contro i Myal che contro l'Obeah, ma soltanto questa seconda fede sopravvisse come forma viva di pratiche e fedi religiose in Giamaica.


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