Questo BLOG è il risultato di una vasta ricerca sulle maggiori religioni diffuse nel mondo. Qui potrete trovare una spiegazione obbiettiva delle credenze, delle divinità e del pensiero dei vari culti.

giovedì 2 aprile 2009

RELIGIONI MAGGIORI

La valutazione di quali siano le religioni maggiori, ovvero le principali religioni del mondo, può essere fatta con una pluralità di metodi; in molti casi, le affermazioni sull'importanza relativa di una religione riflettono un particolare punto di vista (molti aderenti ad una religione considerano la propria fede più influente o diffusa di quanto non sia in realtà). Due metodi sono utilizzati in questa voce: numero di aderenti e definizione usata dagli studiosi delle religioni.

Metodo di stima del numero di aderenti
Il numero di aderenti ad ogni religione è calcolato con una combinazione di censimenti e sondaggi per i paesi in cui non esiste una classificazione religiosa nei censimenti ufficiali; i risultati possono variare molto dipendentemente dal modo in cui sono poste le domande del sondaggio e dal campione rappresentativo scelto. Le religioni informali e non organizzate sono le più difficili da analizzare.
Fonti per le statistiche sulle religioni tranne Falundafa e Umanismo: www.adherents.com, aggiornato nel 2005. Queste statistiche sono basate su un analisi comparata di varie fonti, per informazioni sul metodo di analisi si veda la spiegazione di www.adherent.com.

Elenco delle principali religioni per numero di aderenti
Questo elenco non fa distinzioni tra religioni organizzate ed informali. Le religioni sono ordinate per numero di fedeli e al loro interno sono distinte le loro maggiori correnti interne.
1- Cristianesimo 2,1 miliardi - origine: 27 d.C.
• Cattolicesimo: 1.1 miliardi
• Protestantesimo: 480 milioni - origine: XVI secolo
• Cristianesimo ortodosso: 225 milioni
• Anglicanesimo: 73 milioni - origine: XVI secolo
• Chiese orientali antiche (Monofisismo e Nestorianesimo): 72 milioni - origine: V secolo
• Testimoni di Geova: 6,3 milioni - origine: 1874
• Mormonismo: 12,5 milioni - origine: 1830 circa
Altri cristiani: 120 milioni
2 - Islam: più di 1,5 miliardi - origine: 610 d.C. circa
• Sunnismo: 1,4 miliardi
• Sciismo: da 122 milioni (8%) a 167 milioni (11%)
• Kharigismo/Drusi/Yazidismo: meno di 2 milioni (circa 1.300.000 i kharigiti; 450.000 i Drusi; 100.000 circa gli Yezidi).
3- Secolari/irreligiosi/agnostici/atei: 1.1 miliardi
• Questa categoria include molte credenze senza una specifica aderenza ad una religione. La categoria include anche umanisti, deisti, panteisti, e liberi pensatori. Per altre informazioni visitare Adherents.com.
4 - Induismo: 1.0 miliardi - origine: XV secolo a.C. circa, XXV secolo a.C. in molti aspetti
• Visnuismo: 580 milioni
• Sivaismo: 220 milioni
• Saktismo/Smartismo/Lingayatismo/Ayyavalismo/Neoinduismo: 202 milioni
5 - Buddhismo: 576 milioni - origine: VI secolo a.C.
• Buddhismo Mahayana: 385 milioni (*)
• Buddhismo Theravada: 124 milioni
• Buddhismo Vajrayana: 67 milioni
6 - Taoismo: 400 milioni - origine II secolo a.C., VI secolo a.C. in molti aspetti
• Taoismo Zhengyi/Taoismo Quanzhen: 100 milioni (**)
• Taoismo popolare: 300 milioni (***)
• Taoismo occidentale/Taoismo riformato: 50.000
7 - Culti indigeni animistici: 300 milioni
• Non è una singola religione organizzata, comprende un ampio spettro di tradizioni e religioni tribali e sciamaniche.
8 - Shintoismo: 100 milioni - origine in froma organizzata: 300 a.C. circa
9 - Culti tradizionali africani e diasporici: 100 milioni
• Non è una singola religione organizzata, include culti africani tradizionali quali la Yoruba e fedi sincretiche e messianiche nate di recente come il Vudù, la Santeria, il Candomblé e l'Umbanda.
10 - Sikhismo: 27 milioni - origine: 1500 circa
11- Spiritualismo: 15 milioni - origine: metà del XIX secolo
12 - Ebraismo: 15 milioni - origine: XII secolo a.C. circa
• Ebraismo conservativo: 4.5 milioni
• Ebraismo riformato: 3.7 milioni
• Ebraismo ortodosso: 2 milioni
• Ebraismo ricostruzionista: 150.000
• Chassidismo/Cabalismo/altri ebrei: 4.5 milioni
13 - Falundafa: 10-100 milioni - origine: 1992
• Non è necessariamente considerata una religione dai fedeli o dagli osservatori esterni, non esiste un segno di appartenenza né registri ed il numero di attuali fedeli o praticanti non può essere confermato con certezza. Il dato è una stima del Falundafa per la popolazione della Cina, altre stime sono molto superiori.
14 - Caodaismo: 8 milioni - origine: 1926
15 - Bahaismo: 7 milioni - origine: XIX secolo
16 - Confucianesimo: 6 milioni - origine: V secolo a.C.
17 - Giainismo: 4.9 milioni - origine: VI secolo a.C.
• Svetambarismo: 4 milioni
• Stanakvasismo: 750.000
• Digambarismo: 155.000

18 - Neopaganesimo: oltre 3 milioni - origine: XX secolo
• Wicca: 1 milione - origine: 1950
• Dodecateismo: 400.000 - origine istituzionalizzata moderna: 1997
• Peyotismo: 300.000 - origine: tra il 1890 e il 1918
• Cadiscismo/Druidismo/Giudeopaganesimo/Kemetismo/Odinismo/Romanismo/Slavismo: 1.3 milioni
19 - Ceondoismo: 3 milioni - origine: 1812
20 - Tenrikyo: 2 milioni - origine: 1838
21 - Ikuantao: 1 milione - origine: 1928
22 - Rastafarianesimo: 600.000 - origine: 1929
23 - Scientology: 500.000 - origine: 1953
24 - Tiandejiao: 260.000 - origine: 1978
25 - Miledadao: 230.000 - origine: 1988
26 - Tiandeshengjiao: 200.000 - origine: 1899
27 - Zoroastrismo: 200.000 - origine incerta, circa X secolo a.C.
28 - Liismo: 169.000 - origine: XVII secolo
29 - Xuanyuanjiao: 150.000 - origine: 1957
30 - Mandeismo: 70.000 - origine: III secolo
(*) - Oppure 185 milioni se non si contano i buddhisti cinesi. Recenti ricerche hanno rivelato un numero di 200 milioni di buddhisti in Cina. La cifra è riferita alle persone affiliate alla Chiesa buddhista cinese, pertanto il numero di buddhisti potrebbe essere maggiore.
(**) - La Chiesa taoista cinese calcolava un numero di 100 milioni di fedeli ufficiali (ovvero affiliati ad un'organizzazione) nel 1998. Un ulteriore numero di otto milioni di taoisti è ricavato dalle statistiche sulla popolazione di Taiwan. Oltre ad essere oggi molto maggiore il numero di taoisti ufficiali in Cina potrebbero essere aggiunte alla somma anche le comunità presenti in Occidente.
(***) - Il gruppo comprende gli aderenti al Taoismo popolare. In quanto scarsamente tollerata in territorio cinese, questo tipo di religiosità non figura quasi mai nelle statistiche; risulta quindi molto difficile calcolarne gli aderenti effettivi. Si stima la presenza di oltre 300 milioni di aderenti al Taoismo popolare in Cina, e di un altro centinaio di milioni all'estero.
Elenco delle religioni organizzate per numero di aderenti
Christian Science Monitor usa un diverso standard esaminando solo le religioni organizzate; nel 1998 ha indicato come "Prime 10 religioni organizzate al mondo", in ordine discendente:
1 - Cristianesimo
2 - Islam
3 - Induismo
4 - Buddhismo
5 - Sikhismo
6 - Ebraismo
7 - Bahaismo
8 - Confucianesimo
9 - Giainismo
10 - Shintoismo

Visione storica "classica"
Le maggiori religioni sono anche state classificate in base alla loro percepita importanza, sia teologica che temporale. Questa divisione è stata generalmente la derivazione di quella degli studiosi cristiani dell'Occidente, quindi le liste delle meggiori religioni classiche tradiscono questo pregiudizio. I primi studiosi cristiani, primi classificatori conosciuti delle maggiori religioni, riconobbero solo tre religioni: Cristianesimo, Ebraismo, e Paganesimo (che consideravano comprendesse tutte le altre religioni). Questa visione cambiò con l'illuminismo e nel XIX secolo gli studiosi occidentali considerarono Ebraismo, Cristianesimo, Islam, Induismo e Buddhismo come maggiori religioni. Quando aumentò l'esposizione degli occidentali ad altre religioni, altre sei ne furono aggiunte alla lista originale: Confucianesimo, Taoismo, Giainismo, Shintoismo, Sikhismo, e Zoroastrismo. Più tardi la religione del Bahaismo è stata aggiunta alla lista, che conta dodici religioni classiche (in ordine alfabetico):
Bahaismo
Buddhismo
Cristianesimo
Confucianesimo
Ebraismo
Giainismo
Induismo
Islam
Sikhismo
Shintoismo
Taoismo
Zoroastrismo
La definizione occidentale moderna di religione maggioritaria deriva dalla definizione classica, spesso orientata sul "Cristianesimo," e che omette Giainismo e Zoroastrismo. Un esempio è questa lista trovata nella biblioteca pubblica di New York, Student Reference:
Buddhismo
Cristianesimo
Confucianesimo
Induismo
Islam
Ebraismo




Dialogo interreligioso
L'espressione dialogo interreligioso si riferisce all'interazione positiva e cooperativa fra persone o gruppi di persone appartenenti a differenti tradizioni religiose, basata sul presupposto che tutte le parti coinvolte, a livello individuale e istituzionale, accettino e operino per la tolleranza e il rispetto reciproco.
Si distingue dal sincretismo in quanto il dialogo si focalizza sulla comprensione tra religioni diverse e sulla tolleranza che ne deriva (rimanendo sulle rispettive posizioni), anziché sulla sintesi di elementi diversi in nuove forme di credenza. La storia della religione mostra che il conflitto è sempre stato il tipo di relazione ordinario tra i vari credo, di gran lunga preponderante rispetto al dialogo.
Il Parlamento delle Religioni Mondiali, istituito nel 1893, è considerato da alcuni la nascita formale del dialogo interreligioso.

Pluralismo religioso

Il pluralismo religioso è la convinzione che sia possibile superare le differenze dottrinarie tra le religioni, e i conflitti interpretativi esistenti spesso all’interno della stessa religione. Per molte tradizioni religiose il pluralismo religioso si basa essenzialmente su una visione che si potrebbe definire “non-letterale” della propria tradizione, un modo di intendere la religione che sia capace di andare oltre il testo scritto (della dialettica tra “lettera” e “spirito” si nutre ad esempio ampiamente la teologia cristiana di San Paolo), cercando di scorgere la sorgente ultima dell’ispirazione al di là dei singoli dettagli (questa è anche l’impostazione di due filosofi e teologi cristiani che hanno fatto l’esperienza personale di più di una religione: Thomas Merton e Raimon Panikkar, che mettono l’accento sul fatto che è proprio sul piano dell’esperienza, e non su quello dottrinale, che è possibile aspirare alla comprensione reciproca tra le religioni). A volte, tuttavia, la definizione di pluralismo religioso resta confinata sul piano intellettuale: è il caso di quell’atteggiamento che cerca di sminuire l’importanza delle differenze, mettendo al contempo in risalto i punti in comune. Le più recenti acquisizioni del dialogo interreligioso hanno però mostrato tutti i limiti di quest’ultima posizione, soprattutto il fatto che essa tende ad appiattire ogni religione su di uno sfondo neutro con il quale nessuna religione riesce più a identificarsi.
L’esistenza del pluralismo religioso dipende dalla libertà di religione. La libertà di religione è la situazione nella quale differenti religioni, professate in uno stesso spazio, godono degli stessi diritti di esercizio e di espressione pubblica. Di conseguenza, la libertà di religione viene indebolita dal conferimento ad una specifica religione di privilegi negati ad altre. Tale libertà religiosa viene negata in alcuni stati teocratici e in molti regimi autoritari o meno.
Storia del pluralismo religioso
Il pluralismo religioso è esistito in India fin dalla nascita del Buddhismo, intorno al 600 a.C. Nell’ottavo secolo, lo Zoroastrismo si è stabilito, in seguito alla fuga in massa dei suoi seguaci dalla Persia, in India, dove questi trovarono rifugio. Anche l'impero romano attuò una certa forma di pluralismo religioso, infatti il giudaismo godette del privilegio di religio licita; l'impero entrò in conflitto aperto col cristianesimo solo nel periodo più tardo quando si rese conto del potenziale pericolo politico che esso rappresentava. Paradossalmente, quando la chiesa Cattolica romana ottenne importanti privilegi dallo stato (all'epoca di Costantino I) divenne intollerante verso i pagani e le altre chiese cristiane autocefale. In occidente, la nascita del pluralismo religioso è strettamente legata alla Riforma protestante e all’Illuminismo. Religioni come il Giudaismo e l’Islamismo coesistevano al cristianesimo in diverse zone dell’Europa, ma non godevano degli stessi diritti di quest’ultimo. Alcune nuove forme di cristianesimo vennero addirittura soppresse con la violenza (si veda ad esempio il caso degli ugonotti). Le prime forme di protestantesimo godevano degli stessi privilegi da essi contestati alla Chiesa cattolica romana; nell’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda protestanti, gli ebrei e i cattolici subivano pesanti restrizioni alla loro libertà religiosa, fino agli atti di emancipazione del XIX secolo.
Simili discriminazioni, a danno di alcune sette protestanti in disaccordo con le chiese nazionali di questi paesi, spinse alcuni gruppi, quali ad esempio i padri pellegrini a cercare la libertà nell’America del nord. (Alcuni studiosi hanno osservato che, piuttosto curiosamente, nel momento in cui questi gruppi minoritari sono divenuti la maggioranza, hanno a loro volta negato la libertà tanto agognata ad ebrei e cattolici). Ad ogni modo, sia protestanti sia filosofi quali John Locke e Thomas Paine, sostenitori della tolleranza ed avversari del fanatismo religioso, hanno influenzato fortemente i padri fondatori degli Stati uniti d’America, al punto che, al giorno d’oggi, la libertà e l’uguaglianza religiose alla base del pluralismo religioso degli Stati uniti sono garantite dal primo emendamento della costituzione americana, il quale afferma che il Congresso non ha il potere di emanare leggi circa la costituzione o l’abolizione di religioni, o circa la soppressione del diritto di espressione religiosa.
Si può quindi dire che, negli Stati uniti, il pluralismo religioso è sancito e tutelato dallo stato, che garantisce la parità delle religioni davanti alla legge, indipendentemente dal numero di adepti. Lo stato riconosce altresì il diritto a non appartenere ad alcuna religione.
La libertà di religione comprende tutte le religioni agenti su di un determinato territorio nel rispetto della legge, indipendentemente dal fatto che esse accettino la pari legittimità delle altre religioni o che esse considerino più o meno positivamente il pluralismo religioso. Molte religioni affermano, ad esempio, che quella indicata da loro è l’unica via che conduce alla salvezza e alla verità, ed alcune di esse si spingono fino ad affermare la necessità di sopprimere i “falsi insegnamenti” affinché l’unica verità possa trionfare.
Il pluralismo religioso come occasione di crescita e di dialogo [modifica]
Molti credenti ritengono che il pluralismo religioso comporti la cooperazione più che la competizione, e sostengono la necessità di un rinnovamento sociale e teologico finalizzato al superamento (pratico, non teoretico: non c’è via di mezzo sul piano teoretico tra due dottrine incompatibili che non snaturi entrambe, e nella quale nessuna delle due è più in grado di riconoscersi autenticamente) delle differenze che generano conflitto. Secondo molte tradizioni religiose, ciò può essere ottenuto tramite una lettura non letterale della propria tradizione, volta a raggiungere un’intesa sui principi fondamentali dell’azione comune e non su questioni dottrinali che – a tal fine – risultano piuttosto marginali.

Verità: la lettera e lo spirito
In genere, il pluralismo religioso si astiene dal dichiarare questa o quella religione assolutamente vera. È evidente infatti che alcune affermazioni di certe religioni sono in aperto contrasto con quelle di altre, il che le rende (ancora una volta, sul piano teoretico-dottrinale) reciprocamente incompatibili: un esempio classico è la convinzione dei cristiani che Gesù sia lo stesso Dio incarnato, mentre questa convinzione è recisamente rigettata come impossibile dai musulmani e dagli ebrei (il che conduce all’ulteriore frattura sulla questione della Trinità). Si potrebbero portare tanti altri esempi: i cristiani credono che Gesù sia stato crocifisso, i musulmani ritengono che, al contrario, non lo sia stato. È evidente che, con questi presupposti, è impossibile dal punto di vista logico dichiarare che il Cristianesimo e l’Islamismo siano entrambi “assolutamente veri”.
In più, alcuni pluralisti sostengono che nessuna religione possa rivendicare per sé l’esclusiva della verità, in quanto nessuna religione può definire sé stessa come l’autentica e definitiva “parola di Dio”, ma piuttosto come un tentativo umano di ripetere-descrivere-riesprimere-balbettare tale parola divina. Ciò comporta, data la natura finita e fallibile dell’uomo, che nessun testo può esaurire con precisione assoluta l’intera conoscenza di Dio e del suo volere da parte dell’uomo. In questo senso, quindi, nessuna religione può essere detta completamente vera, e la realtà (o Dio) conserva aspetti d’infinito che nessuna singola abilità umana, per quanto accurata, può essere in grado di catturare. Ciò nonostante, le religioni non rinunciano (e giustamente, ché altrimenti non sarebbero più religioni) al tentativo di raggiungere la totalità della realtà, tentativo che spesso si scontra (e non sarebbe possibile altrimenti) con i limiti storici e culturali legati al proprio punto di vista.
Su queste basi è stata notata la necessità interpretare i cosiddetti “testi sacri” in maniera non diversa da qualsiasi testo letterario dell’epoca, distinguendo tra le affermazioni di carattere storico, quelle metaforiche, quelle a sfondo morale, ecc.
Una posizione teologica recente, e piuttosto interessante, è quella che sostiene che tutte le religioni sono ugualmente vere. Questa posizione, vicina a certa filosofia contemporanea, in particolare il decostruzionismo, viene tuttavia accusata (anche in base a quanto visto prima) di essere autocontraddittoria. Raimon Panikkar ha spiegato che ogni religione è vera nel suo ambito, cioè dal suo punto di vista: come una finestra aperta sul tutto, essa vede effettivamente il tutto, ma soltanto a partire dalla sua prospettiva (ciò che Panikkar chiama effetto della pars pro toto). Poiché non esiste una verità, qualcosa cui si può accedere in maniera asettica e uguale per tutti, la verità nasce all’interno del rapporto tra le parti in gioco (il divino ed il credente): non c’è modo per il credente di intendere la parola divina se non con il proprio orecchio e le proprie facoltà mentali, e non c’è modo di ripeterla agli altri se non con la propria voce ed il propri linguaggio. Insomma, il divino non è cosa che, come l’affermazione “2 + 2 = 4”, possa essere trattato in maniera disinteressata ed impersonale. Ecco perché un confronto (ma più propriamente bisognerebbe parlare di dialogo interreligioso) tra le religioni non può esaurirsi sul piano teoretico e dottrinale, che presuppone l’esistenza di una unica verità oggettiva e universale. Il problema sta quindi nel presupposto: la ricerca della verità oggettiva e universale porterà sempre a uno scontro irriducibile tra posizioni contrastanti, perché una siffatta verità non esiste. La verità è relazionale, ed include entrambi i poli della relazione (in questo caso, il divino ed il credente).
Nell’ultimo secolo, sono nate alcune forme “liberali” di Ebraismo e di Cristianesimo: i loro adepti non sostengono che la propria sia l’unica forma di religione valida e definitiva, ma solo che è la più completa attualmente a disposizione dell’umanità, stabilendo così uno sfondo comune alle diverse religioni e permettendo implicitamente che una religione approfondisca un aspetto della divinità più o meno di un’altra. I sostenitori di questa posizione affermano che, al pari degli scienziati, la cui umiltà intellettuale li porta a ritrovare la verità all’interno delle leggi della natura, anche le religioni possono conoscere una simile forma di umiltà “religiosa”, ed ammettere che non esiste un unico, solo, esclusivo percorso che conduce a Dio.
Al giorno d’oggi, sono sempre di più quelli che, dall’interno come dall’esterno delle religioni organizzate, sostengono che sia possibile e perciò doveroso sviluppare il pluralismo religioso. Ciò riceve una ulteriore spinta propulsiva dalla considerazione che, dai tempi in cui è stata scritta la Bibbia, la comprensione che l’uomo ha di sé stesso e del proprio ruolo nel mondo è radicalmente cambiata, soprattutto in seguito alle conquiste della scienza moderna; ma anche l’invito dei filosofi a pensare da capo la nostra nozione di verità e di linguaggio non può essere eluso.
Alcune religioni prevedono una forma “retrospettiva” di pluralismo religioso: per esse è possibile tollerare le forme religiose esistenti prima di se stesse (e a partire dalle quali magari hanno avuto origine), ma non quelle nate successivamente (per inciso, si osservi che, se le forme precedenti l’avessero pensata come loro, anche loro oggi non potrebbero esistere: anche questa nozione di tolleranza “all’indietro” è contraddittoria). È il caso, ad esempio, di un certo Cristianesimo che accetta l’Ebraismo, ma rifiuta l’Islamismo, o di quell’Islamismo che accetta il Cristianesimo, ma rifiuta la fede Bahá'í.
Prospettive pagane della religiosità greca e romana classiche [modifica]
Gli antichi greci erano politeisti; il pluralismo, in quell’epoca, consisteva nell’accettazione dell’esistenza e della validità di altre fedi e di altre divinità oltre le proprie. Questa operazione veniva compiuta dai greci e dai romani semplicemente inserendo l’intero gruppo di nuove divinità all’interno del proprio insieme di divinità già esistenti (ponendo queste nuove divinità, ad esempio, sotto la tutela di una divinità già esistente ovvero, talvolta, creando una nuova divinità ad hoc). Nei casi più semplici, non c’era altro da fare che identificare la nuova divinità con una propria (è il caso della corrispondenza tra molte divinità greche e romane, quali Zeus-Giove, Afrodite-Venere e così via). In generale gli studiosi sono concordi nell'affermare la relativa tolleranza del sistema greco-romano non solo nei confronti di nuove religioni politeiste ma anche nei confronti del monoteismo ebraico e del successivo cristianesimo. Per S.Sordi, nel suo Tolleranza e intolleranza nel mondo antico, esiste una «condizione, radicata da età antichissime nel mondo romano, per cui condizione intrinseca della validità di ogni atto religioso è la libertà con cui è compiuto: una convinzione che si esprime nella formula epigrafica, attestata già in età arcaica e comunissima in età imperiale, che troviamo nello scioglimento di ogni voto: votum solvit libens merito» Il limite di questa tolleranza antica è il richiedere il riconoscimento delle religioni tradizionali come religioni ufficiali. Non si può d'altro canto negare che il sistema imperiale romano seppe accettare anche sistemi religiosi profondamente differenti e all'apparenza ostili. Giuseppe Flavio cita numerose leggi romane atte a riconoscere la diversità ebraica ed in particolare è da segnalare un decreto di Cesare Augusto in cui è detto che «da me con il mio consiglio fu deciso con giuramento e con l'assenso del popolo romano, che i Giudei possano seguire le loro usanze secondo la legge dei loro padri». Rappresentativa della tolleranza romana è anche la Relatio III di Aurelio Simmaco, un documento del 384 che mirava a conservare l'altare della vittoria minacciato di distruzione da parte dei vincenti cristiani, contenente la seguente frase: "Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum". Per Simmaco insomma la pluralità religiosa era possibile anche tra cristiani e pagani.


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